venerdì 22 novembre 2013

Caduti, feriti ma mai sconfitti

Io non lo so cosa significhi perdere tutto. Uscire una mattina e non tornare più. Trovarsi con i piedi nel fango a raccogliere i pezzi di una vita. A seppellire padri e madri, fratelli e sorelli, figli e amici. Non lo so. Ma allora perchè ho le lacrime agli occhi? Perchè solo ora riesco a scrivere queste emozioni che in questi giorni tenevo dentro il mio cuore? Perchè anche se vivo a Milano e mi separano km di terreno e Tirreno quelle persone le conosco. Sono come me. Sono i miei fratelli. Sono le mie sorelle. Faccio Sanna di cognome e il DNA non s'inganna. Mischia il tuo sangue. Sei cospomolita. Cittadina del mondo. Ma Mariangela Sanna significa che tu vieni da quella Terra. E' li che hai le tue radici. Li si è compiuta una parte della storia che ti compone. E la Terra ora ti chiama. Urla ferita e nel tuo sangue questo dolore ribolle.

L'alluvione che ha colpito la mia Sardegna è una tragedia con tante responsabilità ma non è di quello che mi interessa parlare. Aspettiamoci cento mille Sardegna. Basta pensare a tutte le tragedie che si sono susseguite in una sola settimana. Filippine, Stati Uniti. Sardegna. E queste sono quelle più notiziabili. Perchè l'avidità umana ci ha resi schiavi del profitto. E ci sono orrori di cui non si parla perchè tanto a chi interessano?
Quello che mi ha colpito è stato l'abbraccio con cui in questi giorni ci stiamo stringendo tutti. Sardi e non solo. Sono giorni che ricevo telefonate e mail dagli angoli più disparati del mondo. Persone e amici che si preoccupano per i miei familiari che vivono in Sardegna. Una rete di solidarietà che sta facendo emergere anche grazie alla tecnologia una forza di volontà e voglia di farcela in tutte le persone. Stiamo scoprendo di essere più uniti di quanto forse credevamo. Più potenti dei mezzi d'informazione tradizionali. Per sapere come aiutare e le reali condizioni metereologiche in Sardegna controllate gli hastag #alluvionesardegna #allertameteoSAR

Il giorno dell'alluvione è accaduto un fatto strano. Non sono quella che si dice una fervente cattolica.Credo in Dio, ho frequentato il catechismo (le ore più inutili della mia vita insieme a quelle in cui hai un volo in ritardo) eppure quel mercoledì alle 15.30 quando il campanello ha bussato e Don Giuseppe è venuto a benedire la casa ho avuto bisogno di pregare con lui. Chiamatelo segno divino. Non ho la vocazione. Ma ritrovarmi con questo parroco che stimo perchè fa tanto per la comunità di questo quartiere tra oratorio, consultorio, centro di solidarietà mi ha rincuorato. Lui conosce la Sardegna aveva le lacrime agli occhi. Insieme abbiamo pregato commossi. Ecco. Questo è il mio Dio. Quello che unisce. Quello che dà amore e forza per condividerlo. 

Per me serve che tragedie come quella sarda ci rendano tutti un pò più furbi. Ma non la furbizia dei potenti del voler fregare ad ogni costo. No. La furbizia dei nostri nonni che sapevano che la campagna ha bisogno di cure, amore e fatica. La furbizia del mio amico, contadino indonesiano che mentre io lo fotografavo lui continuava a lavorare nella risaia come facevano i suoi bisnonni e i suoi antenati, perchè lui le macchine e i diserbanti non li avrebbe mai usati. Basta furbi che son pronti a mettere a rischio la vita dei loro figli solo perchè così si fanno soldi.

Serve una rivoluzione ma deve partire da dentro di noi. Dalle nostre scelte quotidiane. Io lo dico da sempre per me i soldi non contano. Non sono mai contati.

In questi giorni mi sono trovata a ripensare alle parole della canzone di Peppino Mereu "Nanneddu meu" non è cambiato niente dal XIX secolo ad oggi

Sos corvos suos tristos molestos
sun sa discordia de sos onestos.
Maccos famidos, ladros, baccanu
faghimos: nemos alzet sa manu.
Adiosu Nanne: tenedi contu,
faghe su surdu, bettadi a tontu.
Ca tantu, l'ides, su mundu er gai:
a sicut erat no torrat mai.

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